di Sara Tosi
Il 5 giugno 2025 la Corte EDU si è pronunciata relativamente all’ennesima situazione che vede l’Italia condannata a causa dell’inefficienza di tutele ove vi sia una violazione di diritti fondamentali perpetrata per mano di agenti delle forze dell’ordine.
Nello specifico, si tratta di un episodio risalente al 17 marzo 2001, quando si tiene a Napoli una manifestazione «antiglobalizzazione» in risposta al Terzo Forum Globale sulla Reinvenzione del Governo. I fatti lamentati prendono avvio dalla graduale trasformazione della manifestazione in uno scontro con gli agenti, i quali arrestano 85 dei partecipanti, trattenendoli per diverse ore nella «sala di ricreazione» della stazione di polizia “Virgilio Raniero” (si veda paragrafo 10 della sentenza).
Il ricorrente, rientrando tra i trattenuti, lamenta di aver subito, in quella sede, le più svariate forme di abusi, poi confermate in sede di accertamento processuale. A titolo esemplificativo, ne se riportano alcune: «le persone arrestate erano state costrette a camminare lungo un corridoio circondate da agenti di polizia che, a turno, le schiaffeggiavano, le prendevano a calci, le facevano inciampare, le sputavano addosso e le insultavano […]; sono state sottoposte a perquisizioni mentre erano nude e scalze su un pavimento coperto di sangue e urina, […] non hanno potuto utilizzare telefoni cellulari o pubblici per comunicare dove si trovavano, […] sono stati oggetto di minacce e insulti in relazione alle loro preferenze sessuali, religiose e politiche; e […] non è stato loro permesso di soddisfare bisogni personali fondamentali come mangiare, bere o usare i servizi igienici». Inoltre, avendo egli comunicato di essere un praticante avvocato, veniva epitetato dagli agenti “avvocatino”, con evidente intento denigratorio.
La sentenza di primo grado risale al 23 gennaio 2010 e con essa si ravvisa in capo agli agenti la sussistenza del reato di lesioni personali aggravate, di violenza privata, di abuso d’ufficio e di sequestro di persona aggravato. Tuttavia, la pena irrogata è fin dalle origini irrisoria, stante la concessione dell’indulto totale in alcuni casi, e l’intervento della prescrizione per altri. A restare in piedi è soltanto la condanna per violenza privata e sequestro di persona. Successivamente, questa viene riformata in appello e si arriva a condannare soltanto due agenti, ex art. 610 c.p., alla pena detentiva di 10 e 6 mesi. In tal senso, è utile rammentare che il vulnus di tutela deriva, inevitabilmente, dall’estremamente tardiva e faticosa introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, avvenuta soltanto nel 2017 con la l. n. 110.
Alla luce di ciò, il ricorrente presenta ricorso alla Corte EDU, la quale, al termine del procedimento, ravvisa la violazione dell’art. 3 della Convenzione sia sul piano sostanziale che processuale, rinviando di frequente alla sentenza Cestaro c. Italia (ricorso n. 6884/11, § 127, § 129, § 136, §§ 205-12), con la quale si ravvisano notevoli somiglianze, ma anche alla nota sentenza Gäfgen c. Germania (relativamente al concetto di «trattamento disumano e degradante», ricorso n. 22978/05, § 89). In sostanza, non solo la Corte ritiene che tale condotta si sia verificata ledendo i più basilari diritti umani, ma altresì ravvisa una notevole inefficienza dell’attività d’indagine. Tuttavia, ritenendo di aver trattato le questioni principali avanzate dal ricorrente, ritiene che non sia necessario esaminare la ricevibilità e il merito delle altre denunce sollevate (vale a dire la violazione degli artt. 5 e 13 CEDU – cfr. paragrafi 87, 100-102 della sentenza). In conclusione, la Corte condanna l’Italia per la sola violazione dell’art. 3 CEDU, riconoscendo al ricorrente 30.000 euro a titolo di risarcimento del solo danno morale.