Di Gaetano di Muro

Uno straniero invoca la protezione internazionale, dichiarando di essere fuggito dal suo paese (Nigeria) perché gli appartenenti ad una setta, da lui denunciati e fatti arrestare, dopo aver ucciso il fratello e la madre volevano assassinarlo. Il Tribunale rigetta la domanda, evidenziando trattarsi di esigenze personali “neppure in astratto” ricollegabili alle norme e ai presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria, che presuppongono “una situazione di guerra civile o di pericolo reale per la vita del ricorrente”. La Corte di Cassazione, sez. I Civile, con ordinanza 14 ottobre 2020 – 25 marzo 2021, n. 8489, presidente Scotti, relatore Pacilli, annullando la sentenza del Tribunale, ne ha disposto il riesame sulla base del seguente principio di diritto: “In tema di protezione internazionale dello straniero, anche gli atti di vendetta e ritorsione minacciati o posti in essere da membri di una setta sono riconducibili, in quanto lesivi dei diritti fondamentali sanciti in particolare dagli artt. 2, 3 e 29 Cost. e dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, all’ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicché è onere del giudice verificare in concreto se, in presenza di minaccia di danno grave ad opera di soggetti non statuali, ai sensi dell’art. 5, lett. c) del Decreto citato, lo Stato di origine del richiedente sia in grado o meno di offrire al soggetto vittima di tali atti una adeguata protezione”.