di Emilio Robotti

La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha stabilito con la sentenza 16 gennaio 2024, causa C-621/21 che le donne che subiscono o rischiano di subire “violenza fisica o mentale, compresa la violenza sessuale e la violenza domestica” a causa del loro sesso nel Paese d’origine possono chiedere protezione e ottenere lo status di rifugiato.

Il caso originale presentato alla Corte di giustizia europea riguardava una cittadina turca, di religione musulmana e di origine curda. La donna sosteneva che la sua famiglia l’aveva costretta a sposarsi e che era stata minacciata e picchiata dal marito, da cui è poi divorziata.

La donna, dopo aver lasciato il marito, è fuggita in Bulgaria, dove ha chiesto protezione internazionale dichiarando che la sua vita sarebbe stata a rischio tornando in Turchia. Dopo il rigetto della domanda, il Tribunale Amministrativo di Sofia ha chiesto una pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia europea che, richiamando anche l’adesione alla Convenzione di Istambul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica che vincola l’UE dal 1 ottobre 2023, ha deciso che lo status di rifugiato deve essere “concesso nei casi in cui un cittadino di un Paese terzo sia perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un particolare gruppo sociale” precisando che “le donne, nel loro insieme, possono essere considerate come appartenenti a un gruppo sociale” e che lo status di rifugiato può essere concesso “nel caso in cui, nel loro Paese d’origine, siano esposte, a causa del loro sesso, a violenza fisica o mentale, compresa la violenza sessuale e la violenza domestica“.

La Corte di Giustizia ha aggiunto che, se le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non sono soddisfatte, le donne “possono beneficiare dello status di protezione sussidiaria, in particolare quando corrono un rischio reale di essere uccise o di subire violenza“, a maggior ragione se c’è il rischio che questa sia “inflitta da un membro della loro famiglia o della loro comunità a causa della presunta trasgressione di norme culturali, religiose o tradizionali“.