di Adriana Raimondi

Con sentenza del 13 febbraio 2024 resa sul caso X. c. Grecia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato la violazione degli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU per il mancato rispetto, da parte della Grecia, dell’obbligo di dare corso, in seguito di una denuncia per stupro, a delle indagini effettive e di tutelare la vittima in una prospettiva di genere.

In particolare, il caso originava da una denuncia di stupro presentata dalla ricorrente, cittadina britannica, durante una vacanza in Grecia con la madre.

A seguito della denuncia, non le veniva fornito alcun supporto, né alcuna informazione medica;  non le veniva data nessuna spiegazione sulla procedura giudiziaria greca e sui suoi diritti; le veniva chiesto di identificare l’indagato alla stazione di polizia senza alcuna accortezza per tenerli separati; veniva portata in clinica e fatta sedere accanto all’indagato; gli esami medici venivano eseguiti da personale di sesso maschile senza che le fosse fornita alcuna spiegazione sulla natura degli stessi; il giorno seguente veniva portata, sempre senza alcuna spiegazione, alla stazione di polizia dove le si chiedeva di firmare dei documenti in lingua greca sprovvisti di una traduzione ufficiale.

In seguito, iniziava un procedimento penale nei confronti dell’imputato, conclusosi nel 2021 con la sua assoluzione. Della chiusura del procedimento e dello svolgimento dello stesso non veniva data alcuna comunicazione alla ricorrente.

La ricorrente apprendeva della conclusione del procedimento solo in un secondo momento, tramite l’ambasciata britannica. Di conseguenza, con l’ausilio del suo legale, procedeva a richiedere il fascicolo relativo al suo caso. Tuttavia, detto accesso le veniva negato in ragione della sua mancata costituzione quale parte civile nel processo penale.

Per tali ragioni la signora X proponeva ricorso dinanzi la Corte EDU, lamentando la violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione, in quanto, a seguito della denuncia da lei sporta, le autorità non avevano dato corso a delle indagini effettive e non avevano avuto cura di fornirle alcuna informazione sui suoi diritti quale parte offesa, né l’avevano trattata con la cautela adeguata al caso di specie.

Il Governo, dal canto suo, sosteneva, preliminarmente, il mancato previo esaurimento delle vie di ricorso interne – in quanto la ricorrente non si era mai costituita parte civile nel procedimento penale – nonché la tardività del ricorso. Nel merito, il Governo affermava che il diritto penale greco fornisce sufficienti tutele alle vittime di stupro, tutele applicate nel caso in esame.

La Corte, con la sentenza in commento, nel rigettare le eccezioni preliminari del Governo, dichiarava la violazione degli artt. 3 e 8 CEDU. Infatti, secondo la Corte, pur essendo presente nell’ordinamento greco un quadro normativo idoneo a tutelare le vittime di stupro, nella fattispecie le autorità non avevano condotto delle indagini effettive e non avevano trattato il caso con la cautela necessaria, dando così luogo a fenomeni di vittimizzazione secondaria.

Le autorità avrebbero dovuto tenere in maggiore considerazione la gravità del reato commesso in una prospettiva di genere, nonché la giovane età della ricorrente che, per di più, si trovava in vacanza in un paese straniero.

Invece, in seguito alla presentazione della denuncia da parte della ricorrente, le autorità non avevano adottato alcuna accortezza specifica nel trattare il suo caso, né l’avevano informata dei suoi diritti, facendola, per altro, incontrare più volte con l’indagato.

Di conseguenza, la Corte ha affermato il principio per cui, al di là della colpevolezza dell’indagato, “the failure of the investigative and judicial authorities to adequately respond to the allegations of rape in the present case amount to a violation of the positive obligations of the State under Articles 3 and 8 of the Convention”.