di Francesca Toppetti

Il mondo in cui viviamo è affaticato dai tanti problemi interplanetari, sommerso dall’eccesso di informazioni, sopraffatto dai devices tecnologici che allontanano chi ci è accanto, nella illusione di collegarci a reti inesauribili di contatti immateriali e l’umanità sembra quasi “scolorire”, con il rischio di dimenticare il senso di essere “uomo”, che i classici ci hanno tramandato attraverso i secoli.

Così la giornata del rifugiato – celebrata come ogni anno lo scorso 20 giugno, istituita dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – riaccende il pensiero su tutti quei diritti umani sanciti e proclamati, ma spesso soffocati nell’immaginario collettivo da una sottilmente pervasiva tendenza che indulge all’odio diffidente e miope verso chi attraversa il mare in cerca di un luogo in cui essere accolto.

Sono tanti, anzi troppi i naufraghi che cercano approdo fuggendo dalla guerra, dalla persecuzione o dal terrore. Decine di migliaia di persone lasciano tutto quello che hanno alla ricerca di una nuova opportunità ma, ogni anno, molte centinaia sono invece sommersi dalle onde in cui si andranno, poi, a contare i corpi senza più vita, che non per essere tanto numerosi – ed apparentemente indistinti – perdono il loro valore di singole preziose unità, irripetibili.

Il naufragio dei troiani, coraggiosi e sventurati, celebrato nell’Eneide, racconta il coraggio e l’accoglienza nelle terre nuove, in cui gli stranieri di volta in volta approdano ed imparano a farsi conoscere per essere sì diversi, ma meritevoli di essere “avvicinati”, per essere conosciuti e non già allontanati.

E così nella giornata mondiale del rifugiato, potrebbe essere illuminante leggere un recente saggio einaudiano del filologo classico ed antropologo Maurizio Bettini, che si domanda se il senso di umanità dei Greci e dei Romani fosse migliore del nostro, visto che proprio nei luoghi in cui Enea fu soccorso da Didone, tanti naufraghi continuano oggi a morire, nel persistere di dibattiti sulle modalità di poterli soccorrere. “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”, scrive San Paolo nella lettera agli Ebrei (13,2).

I rifugiati ed i richiedenti asilo fuggono dai loro paesi con le lacrime agli occhi e l’art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sancisce che “ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”, per rifugiarsi nei Paesi garanti di democrazia e libertà, attraverso la Protezione internazionale, che tutela tutte le persone che ottengono lo status giuridico di rifugiato ed il 20 giugno viene commemorata l’approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell’ONU, per definire chi siano i rifugiati, i loro diritti e le responsabilità delle nazioni che offrono asilo.

La forza dell’impero romano è stata quella di costruire la sua grandezza sulla capacità di includere ed accogliere gli stranieri ed affonda la sua radice nel senso di humanitas, che ha connotazioni di carattere universale e non già politico, si nutre di equilibrio e della capacità di rispetto su cui si fonda la solidarietà tra gli esseri che appartengono allo stesso genere, il genere umano.