di Adriana Raimondi

La Corte Costituzionale, con sentenza depositata in data 11 marzo 2024, nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sottopostale, ha ribadito l’importante principio per cui un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato che presenti la persona come colpevole lede i suoi diritti fondamentali.

Il giudizio originava dall’ordinanza del 21 novembre 2022 con cui il Tribunale ordinario di Lecce, sollevava, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, commi secondo e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che, anche in caso di richiesta di archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il pubblico ministero debba darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, estendendo a tale ipotesi la medesima disciplina prevista per il caso di archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto, anche sotto il profilo della nullità del decreto di archiviazione emesso in mancanza del predetto avviso e della sua reclamabilità dinanzi al Tribunale in composizione monocratica».

Dunque, il tema in discussione “è se i rimedi per la tutela della reputazione dell’interessato debbano, per necessità costituzionale, comprendere anche la rinuncia alla prescrizione, allo scopo di ottenere una pronuncia liberatoria sul merito della notitia criminis”.

La risposta della Corte Costituzionale in merito è risultata negativa. In particolare la Corte ha sottolineato come l’interessato disponga anzitutto dei mezzi ordinari a difesa della propria reputazione – a cominciare dalla denuncia e/o querela per calunnia e diffamazione aggravata, sino all’azione aquiliana – contro qualsiasi privato che lo abbia ingiustamente accusato di avere commesso un reato, nonché contro ogni indebita utilizzazione, da parte dei media, degli elementi di indagine e dello stesso provvedimento di archiviazione, così da presentare di fatto la persona come colpevole.

Tuttavia, nel dichiarare non fondata la questione, la Consulta ha colto l’occasione per precisare come il caso posto fosse “emblematico di una specifica patologia”, rappresentata da un provvedimento di archiviazione per prescrizione che presenta la persona sottoposta alle indagini come colpevole, senza averle dato alcuna possibilità di difendersi dalle accuse.

Di fatto, tanto l’iscrizione nel registro degli indagati, quanto il provvedimento di archiviazione che chiude le indagini, sono provvedimenti concepiti dal legislatore come “neutri”, dai quali è erroneo far discendere conseguenze negative per la reputazione dell’interessato.

Provvedimenti di tal genere, che presentino, invece, l’interessato come colpevole “sono in concreto suscettibili di produrre – ove per qualsiasi ragione arrivino a conoscenza dei terzi, come spesso accade – gravi pregiudizi alla reputazione, nonché alla vita privata, familiare, sociale e professionale, delle persone interessate. Ciò che, in ipotesi, potrebbe dare altresì luogo a responsabilità civile e disciplinare dello stesso magistrato” che ha richiesto o emesso il provvedimento, in quanto ne ricorrano i presupposti di legge.

Di conseguenza “il mancato riconoscimento alla persona sottoposta alle indagini di un diritto a provocare un accertamento negativo della notitia criminis nell’ambito di un giudizio penale non è costituzionalmente illegittimo soltanto in quanto l’ordinamento sia in grado – per altra via – di assicurare un rimedio effettivo contro ogni eventuale violazione, da parte dall’autorità giudiziaria, del diritto fondamentale della persona medesima a non essere presentata come colpevole senza avere potuto difendersi e presentare prove a proprio discarico. E tale rimedio non potrebbe comunque essere subordinato alla rinuncia alla prescrizione da parte dell’interessato, nei limiti in cui tale diritto sia in concreto esercitabile. In effetti, la persona sottoposta alle indagini, se non ha in via generale il diritto di rinunciarvi, ha invece il pieno diritto di avvalersi della prescrizione, che è posta a tutela anche del suo soggettivo interesse a essere lasciata in pace dalla pretesa punitiva statale, rimasta inattiva per un rilevante lasso di tempo dalla commissione del fatto a lei attribuito, senza che tale legittima scelta di avvalersi della prescrizione comporti, per l’interessato, la perdita del suo diritto fondamentale a non essere pubblicamente additato come colpevole in assenza di un accertamento giudiziale”.