di Maria Paola Costantini

La sentenza emessa dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Fedotova e altri c. Russia ha riconosciuto la sussistenza della violazione dell’art. 8 della Convenzione da parte della Federazione Russa in tre casi relativi a 3 coppie di cittadine/i russi same-sex per la mancanza di un riconoscimento e di una tutela anche minima di tali unioni.

La pronuncia appare interessante su diversi profili tra cui: la conferma della necessità di tutela e di un quadro giuridico specifico per le unioni same-sex laddove vi sia una assenza di un riconoscimento di qualsiasi genere, posizione su cui la Corte richiama la propria giurisprudenza, chiarendo che non è possibile configurare tale posizione come una imposizione esterna; le definizioni di vita privata e famigliare, sempre con riguardo a quanto affermato nel corso degli anni attraverso la sua giurisprudenza; i confini dello spazio di discrezionalità riconosciuta agli stati sia per quanto riguarda gli obblighi negativi che per quelli positivi; lo sguardo per una dimensione più estesa rispetto a quella degli stati che aderiscono alla Convenzione EDU; la concezione della Convenzione come strumento “vivente”, chiamato a raccogliere e interpretare le situazioni e le concezioni prevalenti all’interno degli stati democratici.

Nel procedimento sono intervenuti la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa e numerose associazioni tra cui LGB Alliance, ACCEPT, Youth LGB Organization Deystviye, National, LGBT Rights Organisation LGL, Love Does Not Exclude, Polish Society for Antidiscrimination Law, l’ONG Iniciativa Inakost, l’ONG Insight Public Organization, l’ONG Sarajevo Open Centre, Russian LGBT Network, Fondation Sphère, Human Rights Centre de l’université de Gand, il Centre AIRE, la Commission internationale de Jurists, il Network of European LGBTIQ+Families Associations (NELFA), il Centre eurorégional pour les initiatives publiques (ECPI), il Gobal Justice Institute (GJI), ecc. che hanno fornito il proprio contributo specificando la tipologia di discriminazioni e gli effetti dell’assenza di un quadro di protezione giuridica, nonché la sussistenza di campagne promosse da partiti e movimenti politici nonché da parte di autorità religiose dirette ad alimentare posizioni oltranziste e discriminatorie nei confronti delle persone LGBTQI.

La Corte inquadra i casi sottoposti alla sua attenzione, procedendo ad un’ampia ricognizione riguardante il rispetto del principio di non discriminazione e l’evoluzione delle diverse forme di riconoscimento delle coppie same-sex citando documenti, dichiarazioni, direttive, decisioni giurisprudenziali, rapporti emanati dalle istituzioni europee nonché al livello internazionale ed extra-europeo (ad esempio la Corte inter-americana dei diritti dell’uomo). Ricostruisce anche i diversi richiami inviati alla Federazione Russa al fine del rispetto delle persone LGBTQ e alla necessità di tutelare la libera circolazione. In tale ricostruzione, appare evidente una forte accelerazione: 30 stati firmatari della Convenzione prevedono infatti almeno una forma di riconoscimento legale, di cui 18 hanno introdotto la possibilità di matrimonio; 12 altri stati favoriscono altre forme alternative di unione. Solo  nella Federazione Russia e in altri paesi come l’Albania, l’Armenia, l’Azerbaidjan, la Bosnia Erzegovina, la Bulgaria, la Georgia, la Lettonia, la Lituania, la Macedonia del Nord, la Repubblica della Moldavia, la Polonia, la Romania, la Serbia, la Repubblica Slovacca, la Turchia e l’Ucraina non esiste ad oggi alcuna possibilità per le coppie dello stesso sesso di vedere una qualche forma di riconoscimento giuridico. Tale ricognizione si è resa necessaria poiché una delle obiezioni da parte della Russia è stata quella dell’assenza di un consenso in sede paneuropea.

E’ interessante al riguardo evidenziare le diverse obiezioni sollevate dal Governo russo: l’interpretazione troppo estensiva data da parte della Sezione della Corte EDU all’art. 8 arrivando quasi a imporre agli Stati obblighi non previsti; l’impossibilità di prevedere forme di riconoscimento contrarie all’ordine pubblico interno; la necessità di modificare sia la Costituzione (nella sua ultima versione del 2020) che il Codice civile; il fatto che il matrimonio tra uomo e donna, la famiglia tradizionale e la maternità siano considerati nel paese un valore fondamentale da preservare e proteggere; la presenza di studi e ricerche che dimostrano un disvalore diffuso nella popolazione, attribuito alle unioni di persone same-sex e in generale l’esistenza di una forte opposizione verso una estensione di diritti alle persone LGBQT.

La Corte nelle sue conclusioni riconosce la sussistenza della violazione dell’art 8, fondando tale decisione non solo sul consenso ormai esteso in quasi tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa sulla necessità di trovare forme di protezione per le coppie same sex, ma anche sul fatto che nel caso della Federazione Russa è assente totalmente qualsiasi protezione e questo determina un posizione eccessivamente arbitraria da parte dello Stato. La concezione della società democratica accolta dalla Convenzione rigetta infatti tutte le stigmatizzazioni e le violazioni fondate sull’orientamento sessuale e sul mancato riconoscimento della dignità degli individui. La richiesta di protezione non può essere considerata una minaccia. Il fatto di offrire un riconoscimento e una protezione giuridica alle coppie same-sex non reca danno alle famiglie tradizionali né limita o affievolisce i loro diritti.