Di Lucrezia Tiberio

La morte della ventiduenne Mahsa Amini, avvenuta in carcere dopo essere stata trattenuta dalla polizia morale religiosa, ha scatenato disordini nelle province iraniane e nella capitale Teheran. Le proteste per la morte di Amini si sono diffuse in almeno 46 città, paesi e villaggi dell’Iran. Un conteggio dell’Associated Press sulle dichiarazioni ufficiali delle autorità parla di almeno 13 morti e di oltre 1.200 manifestanti arrestati. Ufficialmente le persone uccise nelle manifestazioni finora sono 41 (soprattutto manifestanti e alcuni membri delle forze dell’ordine), ma secondo l’organizzazione per i diritti umani Iran Human Rights sarebbero almeno 57.

Oltre ai manifestanti uccisi ci sono state centinaia di arresti, testimoniati anche da immagini e video che sono circolati nonostante un blocco di Internet in gran parte del paese: il presidente iraniano, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, ha fatto intendere di non essere intenzionato a cambiare approccio e di voler continuare a reprimere le proteste.

Il recente episodio di violenza pone due criticità in relazione alla mancata tutela dei diritti umani: la prima riguarda certamente la tutela delle donne, per cui il regime iraniano è già stato richiamato con forza dalla comunità internazionale a più riprese. Anche con l’occasione, infatti, dell’ultima Universal Periodic Review, in particolare negli outcome statement, l’Iran è stato ammonito proprio a causa delle discriminazioni e delle violenze che le donne sono costrette a subire all’interno del regime; “siamo particolarmente costernati dal fatto che l’Iran abbia respinto la maggior parte delle raccomandazioni relative alla ratifica dei trattati fondamentali sui diritti umani, in particolare la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) e la Convenzione contro la tortura”. I funzionari iraniani hanno discusso per la prima volta la ratifica della CEDAW più di 22 anni fa, eppure le donne iraniane sono sottoposte a continue forme di discriminazione formale e sostanziale in tutti gli ambiti della vita: per quanto riguarda il matrimonio, il divorzio, l’eredità e l’occupazione di alcune professioni.

In secondo luogo, è necessaria una riflessione anche riguardo al diritto di esprimere e manifestare liberamente il proprio pensiero, considerata la violenta repressione delle proteste, e l’impossibilità di accedere a una libera informazione tramite la rete internet imposta dal regime in modo del tutto illegittimo; anche in questo caso, l’Iran aveva già ricevuto un ammonimento dal Comitato ONU, il quale sottolineava l’importanza del diritto ad una manifestazione libera del pensiero per lo sviluppo della società. L’alto commissario per i diritti umani, sempre nel contesto dell’ultima UPR, incoraggiava lo stato a sviluppare un sistema di protezione dei diritti umani nel loro complesso, a prepararsi in vista della prossima sessione del Comitato e, in generale, a collaborare con le istituzione internazionali.