di Valentina Rao

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale fa sapere che le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale.

Dopo oltre 20 anni dal deposito del primo ricorso giudiziario, un traguardo storico per le donne italiane!! Il figlio assumerà il cognome di entrambi i genitori.

La Corte costituzionale, già con la sentenza del 16 febbraio 2006, riteneva che il sistema di attribuzione del cognome paterno derivasse da una concezione patriarcale della famiglia che aveva le sue radici nel diritto romano e che non fosse compatibile con i principi costituzionali di parità tra uomo e donna. Tuttavia, la Corte costituzionale ritenne che l’intervento invocato dalla Corte di cassazione richiedesse una operazione che esorbitava dai suoi poteri. Essa rilevò in effetti che veniva lasciata aperta tutta una serie di opzioni, ossia: 1) se la scelta del cognome dipendesse esclusivamente dalla volontà dei coniugi; 2) se ai coniugi fosse consentito derogare alla regola; 3) se la scelta dei coniugi dovesse avvenire una sola volta con effetto per tutti i loro figli o dovesse essere espressa all’atto della nascita di ciascuno di essi. La Corte costituzionale osservò che i disegni di legge (nn. 1739‐S, 1454 S e 3133‐S) presentati nel corso della XIV legislatura testimoniavano la pluralità delle opzioni prospettabili, la scelta tra le quali non poteva che essere rimessa al legislatore. Ritenne anche che una dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni interne pertinenti avrebbe determinato un vuoto giuridico.

Sullo stesso caso si pronunciava la Corte europea dei diritti dell’uomo. Con la sentenza del 7 gennaio 2014, nel caso Cusan e Fazzo c. Italia, (ricorso n. 77/07) la Corte EDU accertava, a maggioranza, la violazione dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) combinato con l’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare). In particolare, essa ricordava l’importanza di un’evoluzione nel senso dell’eguaglianza dei sessi e dell’eliminazione di ogni discriminazione fondata sul sesso nella scelta del cognome. Essa riteneva che la tradizione di manifestare l’unità della famiglia attraverso l’attribuzione a tutti i suoi membri del cognome del marito non potesse giustificare una discriminazione nei confronti della moglie.

Successivamente, con la sentenza n. 286 dell’8 novembre 2016 la Corte costituzionale, anche recependo le indicazioni della Corte europea nella sopraindicata sentenza, dichiarava incostituzionale la norma che prevedeva l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio in presenza di una diversa volontà dei genitori. Ad avviso della Consulta, la perdurante violazione del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, realizzata attraverso la mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome, si poneva in contrapposizione alla finalità di garanzia dell’unità familiare. Questa veniva individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi, ed in particolare, della norma sulla prevalenza del cognome paterno.

Con la sentenza assunta dalla Corte costituzionale nella Camera di Consiglio del 27 aprile 2022 il figlio assumerà il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico.

La Consulta ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. Sarà compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione.