di Camilla Fantozzi

Con sentenza n. 88 del 2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il diniego automatico del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, a seguito della condanna per la commissione di alcuni reati.

La questione di legittimità costituzionale veniva sollevata dal Consiglio di Stato nell’ambito di due giudizi aventi ad oggetto i ricorsi presentati da due stranieri ai quali era stato negato, da parte dell’amministrazione competente, il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Nel caso oggetto del primo ricorso, il diniego era stato legittimato dalla presenza, a carico del richiedente, di una condanna per il reato di traffico di sostanze stupefacenti di cui all’art. 73, c. 5 del d.P.R. n. 309 del 1990 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). In quello oggetto del secondo, invece, il diniego era stato motivato con la condanna, ricevuta dal richiedente, per il reato di commercio di prodotti con segni falsi di cui all’art. 474 c.p.

Alla luce di quanto disposto dagli articoli 4, c. 3 e 5, c. 5 del d. lgs. n. 286 del 1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) infatti la condanna, anche non definitiva, per il reato di cui all’art. 73, c. 5 del d.P.R. n. 309 del 1990 e quella, definitiva, per il reato di cui all’art. 474 c.p. devono essere ritenute automaticamente ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Con la pronuncia in esame la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, c. 3 e 5, c. 5 del d. lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevedono tale automatismo, per il contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, affermati dagli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, con particolare riferimento dall’art. 8 CEDU. La Consulta ha infatti sottolineato le necessità di effettuare un bilanciamento degli interessi coinvolti, incluso il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU.

La decisione in parola assume grande rilievo in considerazione dell’inversione di rotta da essa determinata rispetto alla sentenza della Corte Costituzionale n. 148 del 2008. Con la pronuncia del 2008 la Corte aveva affermato che si potesse negare la permanenza allo straniero che avesse commesso determinati reati (tra i quali la fattispecie prevista dall’art. 73, c. 5 del d.P.R. n. 309 del 1990) e aveva escluso che si dovessero operare delle distinzioni in relazione alla diversa gravità dei reati stessi. A seguito della decisione in esame, invece, la Corte ha riconosciuto la necessità di svolgere una valutazione in concreto circa la pericolosità sociale dei singoli richiedenti prima di decidere sul rinnovo o meno del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

La sentenza può essere consultata integralmente qui.