dalla Redazione

È senza precedenti la decisione adottata dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), in data 14 dicembre u.s., di espellere l’Iran dalla Commissione Onu sulla condizione delle donne (CSW).

Tale Commissione è stata istituita nel 1946 ed è diventata fondamentale per promuovere i diritti delle donne, documentare la realtà delle vite femminili in tutto il mondo e definire gli standard globali sull’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile; i suoi 45 membri sono eletti dall’ECOSOC, sulla base di un’equa distribuzione geografica, e restano in carica per quattro anni.

Proprio l’ECOSOC ha, infatti, adottato una risoluzione per rimuovere l’Iran dalla Commissione in parola per il resto del suo mandato quadriennale che terminerà nel 2026.

Ciò è accaduto a seguito della brutale repressione, da parte delle autorità iraniane, delle proteste all’interno del Paese che vanno avanti dall’omicidio di Mahsa Amini, la ragazza di 22 anni morta a settembre dopo essere stata presa in custodia dalla c.d. polizia morale.

La risoluzione in commento, che ha ricevuto 29 voti a favore, 8 contrari e 16 paesi astenuti, è stata proposta dagli Stati Uniti.  Nella proposta veniva espressa una grave preoccupazione per le azioni del governo iraniano dal settembre 2022 volte a “minare e reprimere i diritti umani di donne e ragazze […] spesso con l’uso di forza eccessiva”.

L’ambasciatrice statunitense Linda Thomas-Greenfield ha definito la CSW il principale organo delle Nazioni Unite per la promozione dell’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne che quindi “non può svolgere il suo importante lavoro se viene minato dall’interno” in quanto “l’adesione dell’Iran in questo momento costituisce una macchia sulla credibilità della Commissione”.

Infatti, ad oggi, diversi manifestanti sono già stati, a seguito di condanna, messi a morte pubblicamente e molti altri, anche minorenni rischiano l’esecuzione in relazione alle proteste in corso in Iran. Afferma Amnesty International che “le autorità iraniane usano la pena di morte come mezzo di repressione politica per instillare la paura tra i manifestanti e mettere fine alle proteste”.