di Adriana Raimondi

In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il Comitato Pari Opportunità del Consiglio Direttivo presso la Corte di cassazione ed il Gruppo di lavoro per l’attuazione dei Protocolli con la Corte di Giustizia Europea e con la Corte EDU, costituito presso la Corte di cassazione, ha pubblicato un documento contenente gli estratti tradotti delle più importanti sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia in materia di violenza domestica, al fine di rammentare l’importanza di contribuire a promuovere una cultura sempre più diffusa di tutela dei diritti fondamentali.

Nel documento in commento viene inoltre ricordato che gli artt. 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumati e degradanti) CEDU impongono, per giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell’uomo, agli Stati ed alle loro istituzioni obblighi positivi di protezione delle vittime di reati, senza discriminazione alcuna. In particolare, gli Stati hanno l’obbligo di:

  • prevedere un apparato normativo idoneo a consentire un’efficace protezione delle vittime di reati;
  • predisporre misure operative astrattamente idonee a garantire un tempestivo intervento;
  • intervenire in concreto, in modo tempestivo ed efficace, con l’applicazione di misure adeguate.

Di fatto, la Corte EDU ha più volte ribadito il principio per cui se le autorità sono a conoscenza (o avrebbero dovuto esserlo) dell’esistenza di un rischio reale e imminente per la vita di un determinato individuo a causa delle azioni criminali di un terzo sono tenute a  prendere tutte le misure che ci si può ragionevolmente aspettare da loro per evitare tale rischio (principio espresso per la prima volta in Osman c. il Regno Unito e successivamente specificato in relazione alla violenza domestica in Kurt c. Austria).

Tale principio è stato ripreso in numerose sentenze che condannano l’Italia per non aver tutelato adeguatamente le vittime di violenza domestica, si pensi alla celebre sentenza resa nel caso Talpis c. Italia del 2 marzo 2017, e alle recentissime pronunce del 2022 rese nei casi Landi c. Italia, M. S. c. Italia, De Giorgi c. Italia; I.M. e altri c. Italia, di cui la Corte di Cassazione offre un’utile rassegna con l’auspicio che in materia le autorità italiane possano fare meglio.

Infine, anche se non contenuto nel documento in esame, non può non ricordarsi della decisione del Comitato CEDAW (Comitato ONU garante dell’applicazione della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne) del 18 luglio u.s., che, in un caso di violenza domestica e di stupro (perpetrato dall’agente incaricato a svolgere le indagini relative alla violenza domestica), condannava l’Italia per la violazione degli artt. 2 (b)-(d) e (f), 3, 5 e 15 della CEDAW.