di Emilio Robotti

Il caso Lăcătuş contro Svizzera (http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-207377 ) è stato deciso dalla Corte EDU accertando esservi stata, da parte dello Stato convenuto, una violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita provata e familiare) della CEDU.

Il ricorso era stato proposto dalla sig.ra Lăcătuş, cittadina rumena di etnia Rom, analfabeta e proveniente da una famiglia poverissima che nel 2011, non in grado di trovare lavoro, aveva iniziato a chiedere la carità in Svizzera, a Ginevra. Per questo era stata sanzionata al pagamento della somma di 500 Franchi Svizzeri, oltre alla confisca del poco denaro raccolto attraverso l’elemosina, e detenuta per cinque giorni non essendo stata in grado di pagare la sanzione pecuniaria, come previsto dalla legge penale del Cantone svizzero.

La Corte ha osservato che per la sig.ra Lăcătuş, nelle sue condizioni e destinataria di alcun supporto sociale, chiedere l’elemosina rappresentava un vero e proprio mezzo per sopravvivere. Essendo quindi la ricorrente in una evidente condizione di fragilità personale, inoltre, la sig.ra Lăcătuş aveva il diritto, intrinseco alla dignità umana, di poter comunicare la propria difficile situazione e di tentare di soddisfare le sue più basilari necessità personali anche attraverso l’elemosina.

Secondo la Corte la sanzione penale imposta alla ricorrente era quindi sproporzionata sia rispetto al fine di contrastare il crimine organizzato, sia rispetto a quello di tutelare i passanti, i residenti ed i commercianti, e ciò, contrariamente a quanto affermato dalla Corte Federale Svizzera, secondo la quale misure meno severe in casi come quello della sig.ra Lăcătuş non avrebbero raggiunto il medesimo risultato prefissato.

Secondo la Corte EDU, pertanto, la pena inflitta aveva violato il diritto alla dignità umana della ricorrente e compromesso l’essenza stessa dei diritti protetti dall’art. 8 della Convenzione, avendo lo Stato convenuto oltrepassato il suo margine di apprezzamento.