di Adriana Raimondi

Il 22 maggio 2025, la Corte costituzionale ha emesso una sentenza, la n. 68/2025, di portata storica, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non prevede che anche il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.

La questione si è posta, in maniera ancor più manifesta, a seguito dell’impugnazione, da parte della Procura, degli atti di nascita redatti da alcuni comuni italiani, nei quali venivano indicate come madri sia la donna che aveva partorito il minore, sia quella che aveva prestato il consenso alla tecnica di procreazione medicalmente assistita praticata all’estero.

A fronte di suddetta posizione della Procura, l’associazione Rete Lenford – Avvocatura per i Diritti LGBTI+ ha intrapreso una campagna nazionale con l’obiettivo di sollecitare i tribunali nazionali alla rimessione della questione di incostituzionalità alla Corte costituzionale.

Finalmente, con ordinanza del 26 giugno 2024, il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 e dell’art. 250 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), nonché agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 e agli artt. 1 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, firmata a Strasburgo il 25 gennaio1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77.

Gli artt. 8 e 9 della menzionata legge n. 40 sono stati censurati nella misura in cui “impediscono, al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale che, insieme alla madre biologica, abbia prestato il consenso alla pratica e, comunque, laddove impongono la cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale”.

La Consulta, nella pronuncia in commento, ha ritenuto di circoscrivere le censure sollevate dal giudice rimettente al solo art. 8 della legge n. 40, a norma del quale “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6” e con esclusivo riferimento agli artt. 2, 3 e 30 Cost.

Dunque, dando seguito alla sentenza n. 32/2021, la Corte ha ritenuto di dover colmare il vulnus di tutela che colpisce i minori nati in Italia da PMA svolta legalmente all’estero da una coppia di due donne (mentre è pacifico in giurisprudenza il riconoscimento alla nascita dei minori nati all’estero da fecondazione eterologo praticata da una coppia di donne), evidenziando una serie di criticità legate al funzionamento stesso dell’istituto dell’adozione in casi particolare, strutturalmente inidoneo a conferire immediate tutele al nato grazie alla PMA da un comune progetto genitoriale. E ciò, si legge nella sentenza in commento, in ragione della “determinante e assorbente considerazione che, mediante il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari, l’acquisizione dello status di figlio è fisiologicamente subordinata all’iniziativa dell’aspirante adottante e allo svolgimento di un procedimento, caratterizzato da costi, tempi e alea propri di tutti i procedimenti. Inoltre, e soprattutto, l’eventuale esito positivo del procedimento non può che spiegare effetto dal suo perfezionamento”.

Si legge a chiare lettere che l’istituto dell’adozione in casi particolari non è idoneo a garantire la piena tutela dei diritti del minore nato da due donne a seguito di un percorso di procreazione medicalmente assistita, ovvero di un progetto genitoriale comune sin dall’origine. 

Per questo motivo, l’art. 8 della legge n. 40/2004, viola gli artt. 2, 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.

La sentenza in esame costituisce un importantissimo passo per molte famiglie, che vedranno finalmente riconosciuto il livello di protezione dei diritti fondamentali che la Costituzione esige che sia assicurato.

Da oggi, quindi, nulla osta al riconoscimento di un pieno e originario legame di filiazione tra il minore nato in Italia da PMA svolta all’estero da una coppia di donne e la madre che ha prestato il suo consenso a detto percorso.