di Andrea Gagliardo e Enrico Consolo
Il 25 settembre 2025 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata nel caso Isaia e altri c. Italia (ricorsi nn. 11176/11 e 27505/14), aprendo una nuova fase per il sistema delle misure di prevenzione patrimoniali nel nostro Paese.
La Corte ha censurato l’operato delle Autorità italiane per la mancata applicazione dei principi di attualità al requisito della pericolosità sociale del proposto ai fini dell’avvio delle procedure ablative finalizzate confisca, nonché per l’assenza di un nesso causale concreto tra le attività criminose e i beni oggetto di sequestro.
Di particolare rilevanza è la posizione della Corte E.D.U. in merito ai beni intestati a terzi: è stato sancito come la sola relazione familiare con il proposto e la sproporzione patrimoniale non possano più fondare la confisca dei beni del terzo interessato. L’Autorità nazionale viene così onerata a fornire una prova rigorosa della effettiva disponibilità della res ablata da parte del soggetto ritenuto socialmente pericoloso.
La Corte ha così superato una parte del sistema probatorio su cui si è fondato il giudizio di prevenzione, avvicinandolo sempre più agli standard tipici del processo penale. Ne deriva l’esigenza per le Autorità italiane di ripensare il tradizionale sistema di prevenzione, abbandonando prassi basate su automatismi e presunzioni, per costruire un sistema efficace e adeguato alle garanzie fondamentali.
La Sezione di Catania dell’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani accoglie con favore questa svolta giurisprudenziale, sottolineando che la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, e in particolare del diritto di proprietà e del giusto processo, costituisce il presupposto imprescindibile per garantire la legittimità del contrasto alla criminalità organizzata.