di Rainer Maria Baratti

La Danimarca ha avviato un processo sistematico di revoca dei permessi di soggiorno dei cittadini siriani provenienti dall’area conosciuta come “Damascus Reef”. Attualmente la Danimarca ha infatti negato il rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi dell’art. 19.1 del Danish Alien Act, a 189 siriani cittadini di Damasco. Nel frattempo altre 500 persone sono in attesa della rivalutazione del proprio status da parte delle autorità competenti. Ai rifugiati che vedono revocato il proprio permesso di soggiorno viene offerto un incentivo economico di 20.000 euro qualora venisse accettato il rimpatrio volontario. Chi non accetta viene mandato nei cosiddetti “centri di partenza”, in attesa dell’esecuzione del provvedimento di rimpatrio.

L’articolo 19(1) è stato introdotto all’interno del Danish Alien Act nel 2015, successivamente alla crisi europea dei migranti. Le disposizioni contenute nell’articolo prevedono le modalità di cessazione del permesso di soggiorno, come ad esempio il caso in cui vi sia un cambiamento delle condizioni nel paese di origine. Nello stesso anno la riforma della disciplina in materia di immigrazione ha ridotto la durata dei permessi di soggiorno da 5/7 anni a 1/2  anni e ha creato ostacoli legali per il ricongiungimento familiare. A partire dal 2019 la Danimarca ha poi iniziato un lento “cambio di paradigma”, da un modello basato sull’accoglienza a un modello basato sui rimpatri, e ad essere travolti dalla decisione danese sono 4.500 siriani provenienti dall’area di Damasco che hanno ottenuto il permesso di soggiorno in base all’art. 7(3) dell’Alien Act. L’articolo prevede il rilascio del permesso di soggiorno nel caso in cui il paese di origine dello straniero sia caratterizzato da violenza generalizzata e aggressioni ai civili.

Nel 2019 l’Ufficio danese per l’immigrazione ha rilevato, attraverso una serie di report sulla sicurezza, un miglioramento della situazione nella provincia di Damasco è ha proceduto con la rivalutazione dei casi di protezione internazionale. In una fase iniziale i casi riesaminati dal Refugee Appeals Board, una sorta di tribunale d’appello per l’immigrazione, aveva deciso di respingere le decisioni dell’Ufficio immigrazione, concedendo lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria ai ricorrenti. Il Board considerava la situazione in Siria come complessivamente lesiva per i diritti umani e il profilo di rischio associato a ciascun ricorrente. Recentemente però le decisioni del Board sembrano essere cambiate, anche sotto la pressione del Ministro dell’Immigrazione e dell’Integrazione, sulla base del  rapporto  sulla situazione in Siria redatto nel settembre 2020 dall’European Asylum Support Office (EASO). Secondo le autorità danesi il rapporto evidenzia che il tasso di violenza nel governatorato di Damasco è talmente basso da non mettere in reale pericolo i civili e che non vi siano scontri armati dal 2018.

Certamente il rapporto EASO afferma una diminuzione della violenza ma, allo stesso tempo, vi è un intero capitolo riguardante i rischi collegati al rimpatrio che è stato ignorato dalle autorità. Secondo il rapporto EASO vi sono continue violazioni di diritti umani perpetrate dal regime di Bashar al-Assad e soprattutto i rimpatriati possono incorrere in arresti arbitrari, detenzioni extragiudiziali, torture e sparizioni forzate. Inoltre, qualora i siriani decidessero di tornare volontariamente, nelle zone riconquistate dal governo occorre la cosiddetta “approvazione di sicurezza”, un nulla osta che viene concesso a seguito di un estenuante interrogatorio da parte delle forze di sicurezza siriane. Si stima che, una volta ottenuto questo permesso, ¾ dei siriani che hanno fatto ritorno sono stati arruolati forzatamente nell’esercito o arrestati.

La decisione delle autorità danesi si basa solo su frammenti del rapporto EASO e potrebbe incorrere nella violazione dell’Art.1, lett. C, Co. 5 della Convenzione di Ginevra del 1951, che disciplina le modalità di cessazione dello Status di rifugiato. Secondo l’interpretazione offerta dal Comitato esecutivo dell’Alto commissariato delle Nazioni unite (UNHCR) nel 1992, gli Stati contraenti devono accertarsi che i cambiamenti nel Paese di nazionalità o di origine dei rifugiati abbiano natura durevole e stabile, inclusa la situazione generale dei diritti umani, e devono facilitare il rimpatrio degli individui in collaborazione con i paesi di origine, affinché si svolga in modo sicuro e dignitoso. L’indicazione del Comitato ritrova un eco nell’ambito dell’Unione europea attraverso la Direttiva qualifiche (Direttiva 2011/95/UE) in quanto gli Stati membri devono esaminare se il cambiamento delle circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria siano di natura significativa e non temporanea. Di conseguenza le autorità nazionali dovrebbero essere molto caute quando esaminano la situazione di sicurezza dello Stato d’origine.

A ciò si aggiunga che chi decide di non accettare l’incentivo economico danese viene mandato in un “Centro di partenza” dove, secondo le denunce delle ONG, ai migranti non viene garantito l’accesso all’istruzione, al lavoro, alla frequentazione di corsi di lingua e ad adeguate cure sanitarie. Chi viene mandato in questi centri viene privato nuovamente di una casa e della propria vita, in una situazione sospesa e indefinita. I provvedimenti di rimpatrio infatti non potranno essere resi esecutivi in quanto il governo Danese non intrattiene rapporti diplomatici con il governo di Assad. Questo implica che tali operazioni non possono essere portate avanti perché i due paesi non hanno stabilito un accordo di rimpatrio che li coinvolge. Nel caso in cui lo Stato danese riuscisse a dare esecuzione ai provvedimenti di rimpatrio rischierebbe di incorrere in una violazione dell’art. 3 della CEDU (divieto di trattamenti inumani e degradanti) in ragione del fatto che le autorità potrebbero non aver valutato adeguatamente il rischio che corrono le persone soggette a tali provvedimenti. Ad oggi vi sono ancora innumerevoli dubbi su quale futuro vi sia per le persone travolte dalla scelta danese.