di Antonietta Confalonieri e Silvia Ricci

VACCINO: è la parola chiave di ogni notiziario. E’ obbligatorio? E’ domanda ricorrente, che accomuna scelte e decisioni che ordinamenti di ogni livello sono chiamati ad assumere, nella necessità di fronteggiare la pandemia Covid 19 nel più vasto contesto delle attuali e diffuse campagne di vaccinazione.

Europa e Consiglio d’Europa sono punti di riferimento della politica anche legislativa, mentre alle giurisdizioni nazionali ed internazionali è affidata la garanzia della tutela dei diritti.

Ha fatto rumore la sentenza dei Giudici di Strasburgo nel caso Vavřička and Others v. the Czech Republic (Causa no. 47621/13 e altre Court Grand Chamber 8.04.2021), per la quale la Repubblica CECA non è incorsa in alcuna violazione della Convenzione europea a fronte di una legislazione che impone la vaccinazione come condizione essenziale per accedere alla scuola materna, in quanto la disposizione che prevede l’obbligo sanzionato dall’impossibilità per il minore di accedervi è ragionevole e proporzionata rispetto allo scopo legittimamente perseguito dalla legge ceca, quello di proteggere il minore da malattie che possono presentare gravi rischi per la salute del bambino, obbligo limitato nel tempo poiché l’ammissione alla scuola dell’obbligo non è invece condizionata dallo stato di vaccinazione.

Il tam tam mediatico ha rilanciato la notizia collegandola alla campagna vaccinale in corso per contenere il contagio e fronteggiare gli effetti del covid 19, in un momento in cui, in Italia, il Decreto legge  n. 44/2021 individua all’art. 4 la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 quale requisito essenziale per l’esercizio delle professioni sanitarie, con eventuale sospensione del diritto di svolgere prestazioni, fino alla completa attuazione del piano strategico nazionale dei vaccini e comunque non oltre il 31 Dicembre 2021.  

Quale risposta fornire alla domanda mediatica che si interroga circa gli effetti della sentenza della Grand Chamber? Gli effetti sono ovviamente quelli indicati nell’art. 46 CEDU, che stabilisce la forza vincolante alle sentenze nei confronti degli Stati che sono parti nel giudizio.

Fermo restando l’ormai noto assunto che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo funge da bussola per ogni giurista (ricomprendendo indirettamente il legislatore) di ogni Stato membro, la sentenza CEDU va letta nel suo proprio contesto, così come nel rispetto della CEDU e nel contesto del Consiglio d’Europa.

In proposito, va richiamata la Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa del 21 Gennaio 2021 n.  2361, con la quale, invece, proprio con riferimento alla pandemia, viene chiaramente indicato il veto sulla previsione di un obbligo vaccinale per il Coronavirus. In un emendamento viene anche precisato un parere contrario circa l’adozione di certificazioni di vaccinazione qualificate come “passaporti vaccinali” in quanto appare concreto il rischio di discriminazioni e violazioni del diritto alla protezione dei dati personali.

La Risoluzione espressamente formula l’invito:

  • Garantire una corretta informazione circa la insussistenza di un obbligo («assicurare che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno a livello politico, sociale o in altra forma può fare pressioni perché le persone si vaccinino se non lo scelgono autonomamente».)
  • Impedire ogni forma di discriminazione («assicurare che nessuno venga discriminato se non vaccinato»);
  • Prevedere il rischio di danni derivanti dalla vaccinazione da risarcire secondo precisi programmi di indennizzo.

La raccomandazione, infine, evidenzia che «le misure non devono comunque violare il diritto e la libertà di ogni individuo alla propria autonomia fisica e consenso informato».  A proposito dei rischi di discriminazioni, il rapporto 1512 dell’11 gennaio 2021, approvato a larghissima maggioranza dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, partendo dal riconoscere che il vaccino è un bene pubblico globale, per quanto riguarda l’obbligo di vaccinazione richiama la Convenzione di Oviedo che garantisce i diritti e la dignità senza discriminazioni, il cui articolo 5 afferma che un intervento nel campo della salute può essere compiuto solo dopo che la persona ha fornito un consenso informato e libero, ed asserisce che “nel caso di titubanza riguardo la vaccinazione, ciò implica che non si può imporre con la forza… In caso di eccezioni per ragioni di tutela della salute pubblica, queste debbono essere previste dalla legge, debbono essere necessarie nell’interesse collettivo e poste a condizioni che devono essere interpretare alla luce dei criteri stabiliti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani”.