di Rainer Maria Baratti

Con sentenza resa in data 21 settembre 2021 nel caso Carter c. Russia (app. n. 20914/07) la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Russia per la violazione degli artt. 38 (esame in contraddittorio della causa) e 2 (diritto alla vita) della CEDU.

La ricorrente è la sig.ra. Maria Anna Carter (anche nota come Marina Anatolyevna Litvinenko) che ha denunciato la morte per avvelenamento del marito, l’ex-agente dei servizi segreti russi e dissidente Aleksandr Litvinenko, nel Regno unito per mano dei signori Lugovoy e Kovtun. La ricorrente ritenendo che l’omicidio fosse stato eseguito su ordine, con l’acquiescenza o con il tacito consenso delle autorità russe e che quest’ultime avessero fallito nel condurre una indagine effettiva sulle cause del decesso, adiva con ricorso presentato in data 21 maggio 2007 alla Corte EDU.

In particolare, lamentava la violazione degli artt. 2 e 3 della Convenzione in quanto il sig. Litvinenko era stato assassinato dal sig. Lugovoy mentre agiva come agente per, con il tacito consenso o con la conoscenza e il sostegno, le autorità russe, le quali non avevano condotto un’indagine effettiva sull’omicidio. La ricorrente ha altresì lamentato una violazione dell’art. 3 a causa del dolore e dell’angoscia causati a lei e a suo figlio in seguito all’assassinio del marito. Lo Stato convenuto contestava la posizione della ricorrente affermando che il ricorso non era ammissibile ratione loci perché i fatti erano avvenuti al di fuori della sua giurisdizione. Al momento del suo avvelenamento il sig. Litvinenko era un cittadino britannico fisicamente presente nel Regno Unito; pertanto, il governo russo non riteneva di avere alcuna “autorità effettiva” in territorio britannico e non c’era alcun nesso causale tra le azioni delle autorità russe e gli eventi del caso in questione. Lo Stato convenuto ha altresì sostenuto che l’indagine interna sulla morte di Litvinenko non aveva stabilito il coinvolgimento di alcuna autorità russa o di agenti dei servizi segreti.

Prima di intraprendere l’esame dell’ammissibilità e il merito delle lamentele della ricorrente, la Corte ha esaminato la questione relativa all’obbligo procedurale in capo al Governo di presentare le prove richieste dalla Corte ai sensi dell’art. 38 della CEDU. Nel dare notizia del ricorso la Corte ha chiesto al governo di presentare una copia del materiale relativo all’indagine interna sulla morte del Sig. Litvinenko. Il governo russo ha però respinto la richiesta della Corte appellandosi all’art. 161 del proprio Codice di procedura penale, il quale limita, in caso di un’indagine in corso, la divulgazione di qualsiasi materiale del fascicolo nell’interesse stesso dell’indagine. La Corte ha successivamente reiterato la richiesta ma il Governo non ha presentato alcun materiale. Di conseguenza la Corte ha ritenuto che lo Stato convenuto fosse venuto meno agli obblighi derivanti dall’art. 38 CEDU.

Dopo aver affermato la propria giurisdizione sul caso e l’ammissibilità del ricorso, la Corte si è pronunciata nel merito sostenendo che la condotta dello Stato è stata lesiva dell’art. 2 CEDU poiché, quando il sig. Litvinienko è stato avvelenato, i signori Lugovoy e Kovtun agivano come agenti dello Stato convenuto ed esercitavano il potere fisico e il controllo sulla sua vita. La Corte, nel caso di specie, ribadisce che uno Stato può essere ritenuto responsabile della violazione dei diritti e delle libertà della Convenzione anche su persone che si trovano sul territorio di un altro Stato ma che risultano essere sotto l’autorità e il controllo del primo Stato attraverso i suoi agenti, sia che essi operino legalmente o illegalmente. Relativamente all’art. 3 della Convenzione la Corte ha ritenuto che le doglianze fossero irricevibili ratione personae in quanto, la ricorrente non era lei stessa vittima delle presunte violazioni.