Di Francesca Toppetti

Il 20 marzo 2021 il mondo ha celebrato la nona Giornata internazionale della felicità, istituita nel 2012 dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con una risoluzione fondata sul riconoscimento della ricerca della felicità – quale diritto fondamentale dell’uomo e scopo fondamentale dell’umanità – e sulla necessità di promuovere azioni di politica pubblica idonee a garantire ad ogni essere umano il riconoscimento della felicità e dello stato di benessere.

Ma in cosa consiste la felicità? La percezione soggettiva dei suoi confini dipende ineludibilmente da considerazioni di tipo filosofico, etico e religioso, che possono farne mutare la sua tangibile declinazione. S. Agostino diceva che “non può esser felice chi non ha ciò che desidera e non necessariamente è felice chi consegue ciò che desidera” e Sofocle fa cantare al coro dello sfortunato Edipo re “non posso ritenere felice nessuna cosa umana”.

Felicità e libertà sono un binomio inscindibile, come Kant tanto bene aveva compreso, affermando che nessun uomo può essere costretto ad essere felice nello stesso modo in cui lo siano altri, essendo la felicità individuale assolutamente soggettiva, con il limite del rispetto della libertà altrui.

Non compete certamente agli stati stabilire, in concreto, in che cosa consista la felicità individuale e come possa essere conseguita, ma è importante l’impegno a garantire a tutti le risorse giuridiche, finanziarie ed istituzionali che favoriscano il raggiungimento di questo obiettivo da parte dei singoli.

Cosa prevede il nostro ordinamento a proposito della tutela del diritto alla felicità?

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel sottolineare che il bene della vita si trova al vertice della scala dei valori riconosciuti dal nostro ordinamento, hanno negato – come noto –  la risarcibilità del diritto a non nascere se non sani, rifiutando il riconoscimento di una fattispecie di danno da vita indesiderata, in quanto corollario estremo del c.d. diritto alla felicità, che non è riconosciuto nel nostro ordinamento, ma le spinte per il riconoscimento del diritto alla felicità al livello costituzionale sono al momento forti e l’ipotesi – profilata in un disegno di legge del dicembre 2019 – è quella di introdurre un comma finale, interamente dedicato alla felicità, nell’articolo 3 che, nella nostra Costituzione, sancisce il principio di uguaglianza, ispirandosi al risalente esempio della Dichiarazione d’Indipendenza americana, cui occorre guardare certamente come ad una possibile fonte di ispirazione, ma con la consapevolezza delle parole attribuite a Benjamin Franklin – in risposta a chi gli chiedeva lumi sulle ragioni per cui tale diritto non fosse stato indicato all’interno della Costituzione – sul fatto che la garanzia del diritto a cercare la felicità, lascia intatto l’onere individuale di raggiungerla e conquistarla, ciascuno per sé (“The Constitution only guarantees the American people the right to pursue happiness. You have to catch it yourself”).