di Alessio Sangiorgi

Attraverso l’uso reiterato del decreto-legge, il governo è nuovamente intervenuto in materia di migrazione (a poco più di due mesi dal d.l. 2 gennaio 2023, n. 1 che ha introdotto restrizioni all’attività di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo portata avanti dalle ONG, sul quale si rinvia al numero precedente della nostra newsletter), questa volta abrogando parzialmente l’istituto della protezione speciale, la quale può essere concessa a quei richiedenti asilo che non siano in possesso dei requisiti per ottenere la protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria).

Il governo ha varato questa nuova stretta con un decreto-legge che è stato adottato a Cutro, dove simbolicamente si è tenuto il Consiglio dei ministri dello scorso 9 marzo, con l’intenzione di far sentire la propria voce a seguito della tragedia avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 febbraio u.s., quando un caicco turco carico di circa 180 migranti è naufragato dinanzi alle coste ioniche della Calabria, dopo essersi arenato nelle secche di Steccato di Cutro per via del mare in tempesta e in assenza di un pronto intervento di salvataggio da parte delle autorità italiane. A causa del naufragio, ad oggi è stata accertata la morte di 91 persone, perlopiù donne e bambini, e molti altri sono ancora i dispersi.

Ebbene, la nuova normativa (D.L. 10 marzo 2023, n. 20) prevede anzitutto un deciso inasprimento delle pene per chi commetta i reati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare (c.d. scafisti) e inserisce (all’art. 12-bis del T.U. Immigrazione) una nuova fattispecie di reato nel caso in cui a causa di tali reati conseguano morte o lesioni a una o più persone. Il governo è inoltre intervenuto sul decreto flussi, aumentando le quote degli ingressi previsti per chi sia in possesso di un’offerta di lavoro.

Tuttavia, se si può vedere un collegamento tra la tragedia avvenuta a Cutro con le novità sopra menzionate, del tutto oscuro e incomprensibile è il nesso con la modifica in materia di protezione speciale: con l’art. 7 del decreto c.d. Cutro, si è infatti intervenuti abrogando il terzo e il quarto periodo dell’art. 19, comma 1.1 del Testo Unico sull’immigrazione (D.Lgs n. 286/1998), ossia di quelle disposizioni che permettevano di riconoscere la protezione speciale a coloro che avevano costruito una vita privata e familiare nel nostro paese.

Fino all’11 marzo, data dell’entrata in vigore del d.l. 20/2023, questa forma di protezione complementare poteva essere riconosciuta per due ipotesi: i) nel caso di rischio di torture e trattamenti inumani e degradanti nel paese di origine; ii) nel caso di violazioni del diritto al rispetto della vita privata e familiare. È proprio questa seconda ipotesi che è stata oggetto di abrogazione da parte del “decreto Cutro”, cancellando la possibilità di ottenere permessi per persone che avevano creato legami lavorativi o familiari in Italia per via della loro lunga permanenza nel paese, o che magari vi si erano trasferiti con la propria famiglia, ivi integrandosi nel tessuto sociale.

La norma prevede un regime transitorio che fa salve le domande già presentate alla data di entrata in vigore del decreto (ossia l’11 marzo), oltre che per chi aveva già ricevuto l’invito dalla questura a presentare domanda. Tuttavia, ciò che si teme concretamente è una nuova incertezza normativa, così come era avvenuto a seguito dell’abrogazione della protezione umanitaria nel 2018 da parte del c.d. decreto Salvini (D.L. n. 113/2018).

Nel frattempo, molte questure hanno già mutato orientamento e non accettano più domande di protezione speciale per motivi di violazione del diritto al rispetto della vita privata e famigliare.

Pur se le suddette disposizioni sono state espunte dal legislatore in via di urgenza (sic!), secondo alcuni si trattava comunque di norme meramente ricognitive di obblighi in effetti già presenti e comunque vincolanti per il nostro ordinamento, quanto meno alla luce dell’art. 8 CEDU (che tutela per l’appunto il diritto al rispetto della vita privata e familiare), ma anche dell’art. 10, comma 3 Cost., e dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza negli anni.

La questione non potrà comunque che essere affrontata dai giudici delle sezioni specializzate, contribuendo ad aumentarne il relativo contenzioso. A ciò si aggiunga che questo nuovo intervento normativo finirà per creare per l’ennesima volta nuove sacche di irregolarità, senza che ne siano chiare le finalità e soprattutto – lo ribadiamo – quale sia l’aggancio con le vite spazzate via dall’enorme tragedia avvenuta a Cutro.