Di Maria De Lucchi

Il comitato ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Comitato CEDAW), con decisione del 13 giugno scorso, ha condannato la Spagna in un caso di violenza ostetrica, per non aver rispettato le decisioni di una paziente durante il parto e per non averla informata adeguatamente dei trattamenti e dei processi medici a cui veniva sottoposta.

La violenza ostetrica costituisce una forma di violenza, riconosciuta anche dall’ OMS, che colpisce solo le donne. L’associazione non governativa Médicos del Mundo, definisce tale forma di violenza come l’insieme delle “azioni e comportamenti tese a disumanizzare e minimizzare le donne durante l’intero processo della gravidanza, del parto e della fase successiva, attraverso abusi fisici e verbali, umiliazioni, mancanza di informazione e di consenso (…) con conseguente perdita della libertà, dell’autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità”

Nel caso di specie, la ricorrente, recatasi in ospedale a seguito della rottura delle acque veniva sottoposta, senza il suo consenso o una valida informativa, a trattamenti medici volti ad anticipare il parto.

In seguito, senza attendere i tempi stabiliti dalle linee guida e quelli fisicamente necessari, la ricorrente veniva sottoposta ad un parto cesareo, cui si era espressamente opposta a meno che non fosse stato strettamente necessario. Il parto cesareo è stato effettuato da medici e specializzandi, senza il consenso della paziente. Durante tutta la permanenza in ospedale la ricorrente è stata sottoposta a trattamenti inumani e degradanti; le sono state legate le braccia durante il parto, è stata separata dal bambino alla nascita; le è stato impedito di mangiare; i medici e le infermiere le si sono rivolti con espressioni paternalistiche; infine hanno alimentato il neonato con integratori artificiali, contrariamente alle indicazioni della paziente.

La ricorrente lamentava, dunque, la violazione degli articoli 2, 3, 5 e 12 della CEDAW. Lo stato spagnolo sosteneva, invece, l’assenza di ogni discriminazione vista la considerazione per cui il parto è un processo naturale rispetto al quale il consenso informato è privo di significato, poiché la volontà della paziente non può in alcun modo alterare il corso degli eventi; pertanto, lo Stato ha affermato che non esiste un “parto à la carte” e che la decisione sul percorso con cui terminare il parto spetta al professionista medico.

Il Comitato, con la decisione in commento, ha stabilito che i fatti sottoposti al suo esame rappresentassero una forma di discriminazione nei confronti della ricorrente in quanto donna, costituendo una violazione degli articoli 2, 3, 5 e 12 della CEDAW. Nella decisione, il Comitato, ha infine formulato una serie di raccomandazioni allo Stato spagnolo, disponendo la corresponsione di un adeguato risarcimento per la ricorrente e ponendo in evidenza la frequenza con cui, purtroppo, queste pratiche vengono applicate negli ospedali e la loro classificazione come un tipo di discriminazione contro le donne.