Di Paola Regina

La recente ordinanza del Tribunale di Roma (n. R.G. 56420/2020 del 18/01/2021) mette in luce una prassi ormai consolidata alla frontiera orientale italiana, consistente in respingimenti e riammissioni informali dall’Italia alla Slovenia, sino alla Croazia ed alla Bosnia.

In particolare, nel caso di specie, un cittadino pachistano, in fuga dal suo Paese per le persecuzioni subite a causa del suo orientamento sessuale, dopo aver percorso un difficile viaggio attraverso la rotta balcanica, giunto a Trieste, chiede accesso alle procedure d’asilo in Italia e viene respinto.  A seguito di tale primo respingimento, il richiedente asilo torna prima in Slovenia, dove subisce maltrattamenti e poi in Croazia, dove viene brutalmente pestato. Tali respingimenti a catena lo portano a cercare di sopravvivere in alloggi di fortuna in Bosnia Erzegovina, al di fuori dell’UE, poiché i campi di accoglienza a cui si era rivolto non avevano spazio per accoglierlo.

Il giudice adito presso il Tribunale di Roma censura l’operato dello Stato italiano ed al contempo, espone   le irregolarità commesse in attuazione di illegittime pratiche frontaliere, che stanno diventando consuetudini. Si tratterebbe infatti di “riammissioni informali”, ripetutisi dalla Slovenia alla Croazia e dalla Croazia alla Bosnia.

Centinaia di persone sono state respinte in attuazione di questa prassi, senza che sia stata raccolta la loro domanda di asilo politico e senza che nessuna misura formale di espulsione sia stata assunta dalle autorità italiane. È importante ricordare che tali prassi, in realtà, sono state teoricamente consentite sulla base dall’accordo bilaterale siglato tra Italia e Slovenia nel 1996 (concluso in forma semplificata, senza la ratifica del parlamento ai sensi dell’art. 80 della Costituzione italiana). Inoltre, l’art.6, comma terzo, della Direttiva Rimpatri, fungendo da “raccordo” con il sistema europeo, potrebbe fornire una copertura legale, poiché prevede che “gli Stati membri possono astenersi dall’emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare qualora il cittadino in questione sia ripreso da un altro Stato membro i virtù di accordi o intese bilaterali vigenti alla data di entrata in vigore della presente Direttiva”.

Il Tribunale di Roma chiarisce che tali prassi frontaliere, attuate al confine orientale italiano, sono da considerarsi illegittime, poiché attuate in fragrante violazione di norme nazionali, internazionali ed europee, a carattere imperativo, di rango superiore, quali, in particolare:

– la violazione dell’articolo 10, terzo comma della Costituzione italiana, che garantisce il diritto di asilo in Italia a chi sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana;

– la violazione degli articoli 3 e 4 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vietano trattamenti inumani e degradanti e la riduzione in schiavitù;

– la violazione dell’art. 4 del Quarto Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta in respingimenti collettivi;

–  la violazione dell’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che recita letteralmente: “nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene inumane e degradanti”;

– la violazione dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951, che sancisce il divieto di respingimento verso territori in cui la vita o la libertà del richiedente asilo “sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

Com’è noto, l’impianto normativo sovranazionale menzionato assume il carattere di ius cogens in ambito internazionale, sulla base di quanto disposto dall’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati. Le norme europee di rango primario menzionate, impongono, invece, la disapplicazione di ogni altra norma in contrasto con esse. La palese contrarietà con il summenzionato impianto normativo conduce il Tribunale a concludere per l’illegittimità di tali prassi ed a condannare pertanto le autorità italiane per aver impedito il legittimo accesso al diritto di asilo, previsto dall’art.10 della Costituzione italiana.