di Rainer Maria Baratti

Il 7 ottobre 2021, a Varsavia, si è tenuta l’udienza del Tribunale costituzionale polacco in cui si è data lettura del dispositivo della sentenza sulla causa K3/21, concernente la valutazione della conformità di talune disposizioni del Trattato sull’Unione europea (TUE), come interpretate dalla Corte di giustizia europea, con la Costituzione polacca.

La decisione del Tribunale costituzionale contesta che l’Unione europea, non rispettando il principio di leale cooperazione come sancito dall’art 4 par. 3 TUE, abbia creato un’Unione sempre più stretta tra i popoli europei nella quale le istituzioni dell’Unione agiscono ultra vires. Secondo il Tribunale, la Costituzione polacca ha perso il ruolo di legge suprema dello Stato e la Polonia non agisce più come Stato sovrano e democratico. Inoltre afferma l’incompatibilità con la Costituzione degli obblighi discendenti per gli Stati membri dall’art. 19, par. 1, co. 2 TUE (“Gli  Stati  membri  stabiliscono  i  rimedi giurisdizionali  necessari  per  assicurare  una  tutela  giurisdizio­nale  effettiva  nei  settori  disciplinati  dal  diritto  dell’Unione”) nella misura in cui contestano ai giudici nazionali di eludere le disposizioni della Costituzione, di giudicare sulla base di disposizioni non più in vigore in quanto dichiarate incostituzionali o revocate dalla camera bassa del parlamento polacco, di sindacare la legittimità della nomina dei giudici, di controllare quella delle risoluzioni del Consiglio nazionale della magistratura nel procedimento di nomina dei giudici e di determinare i vizi del procedimento di nomina degli stessi. In breve, il Tribunale costituzionale polacco afferma il primato del diritto interno sul diritto comunitario.

Dalla recente sentenza del Tribunale traspare il conflitto sullo stato di diritto tra la Polonia e la Commissione europea dovuto alle riforme legislative polacche sul Tribunale costituzionale che hanno eroso i requisiti di imparzialità e indipendenza dal potere esecutivo e da quello legislativo. La sentenza rappresenta una ferita all’interno dell’Unione europea ma non è un caso isolato. La Commissione europea ha infatti indirizzato ben quattro raccomandazioni che sono state ignorate dalle autorità polacche. Per questo motivo la Commissione, ritenendo che la situazione in Polonia costituisse una chiara minaccia sistemica allo stato di diritto, il 20 dicembre 2017 decise di attivare la procedura prevista all’art. 7, par. 1 TUE finalizzata alla constatazione da parte del Consiglio dell’esistenza in Polonia di un evidente rischio di violazione dei valori su cui si fonda l’Unione (art. 2 TUE).  Per i fatti accaduti, ad oggi, la Polonia si ritrova nella condizione di essere oggetto sia della procedura prevista dall’art. 7 per il mancato rispetto dello Stato di diritto (messa in stand-by dinanzi al Consiglio), sia delle procedura di monitoraggio prevista dal Consiglio d’Europa.

Non a caso, l’accaduto è stato il fulcro del dibattito andato in scena all’Europarlamento il 19 ottobre ultimo scorso, a cui hanno partecipato il premier Polacco Mateusz Makowiecki e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea ha commentato l’accaduto esprimendo la sua forte preoccupazione poiché la sentenza mette in discussione le basi dell’Unione e costituisce una sfida diretta all’unità degli ordinamenti giuridici europei. In chiusura, von der Leyen, ha ribadito che la Commissione difenderà lo stato di diritto e i Trattati UE con tutti i mezzi disponibili: procedure di infrazione, meccanismo di condizionalità e riattivare la procedura prevista dall’art. 7 TUE. Il presidente polacco Mateusz Morawiecki ha ribattuto dichiarando che l’integrazione europea è una scelta di civiltà e che la Polonia vuole un’Europa di nuovo forte, ambiziosa e coraggiosa. Il premier polacco ha poi affermato che la Polonia è attaccata in modo parziale e ingiustificato da politici che minacciano e terrorizzano la sua nazione. Morawiecki ha concluso sostenendo che l’UE non è uno stato come invece lo sono gli stati membri dell’Unione. Pertanto, secondo Morawiecki, l’UE non dovrebbe superare determinati limiti.

          La dubbia indipendenza della magistratura minaccia l’indipendenza del sistema giudiziario, il quale costituisce un pilastro dello stato di diritto, e ci si attendono risposte efficaci e tempestive. L’UE è un’unione basata sui diritti dove il primato del diritto comunitario costituisce il fondamento di un esperimento senza precedenti. Non a caso lo scopo, sancito anche dall’art. 1 TUE, è quello di creare un’Unione sempre più stretta. Non si tratta di un’unione à la carte, dove gli Stati membri decidono quale diritto applicare in base ai propri interessi. Se così fosse, dato che si tratta di un sistema che vede tra i suoi principi quello della leale cooperazione, non si raggiungerebbero i benefici attesi. Ad esempio, senza il primato dell’applicazione del diritto comunitario, esso varierebbe da stato a stato distruggendo la par condicio del mercato interno.