di Adriana Raimondi

Con sentenza del 19 ottobre 2023, resa sul caso Locascia e altri c. Italia (ricorso n. 35648/10), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato la violazione dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) in una fattispecie relativa alla cattiva gestione dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nella regione Campania.

I diciannove ricorrenti, residenti a Caserta e San Nicola La Strada (Campania, Italia), sostenevano essenzialmente che le autorità italiane avessero omesso di garantire il corretto funzionamento del servizio pubblico di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nella loro zona di residenza, nonché di mettere in sicurezza e bonificare la discarica sita nell’area Lo Uttaro, causando gravi danni all’ambiente e mettendo in pericolo la salute degli abitanti dell’area interessata, danneggiandone la vita privata.

In particolare, dall’11 febbraio 1994 al 31 dicembre 2009, veniva dichiarato, in Campania, lo stato di emergenza al fine di affrontare i gravi problemi di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Nonostante ciò, la “crisi della gestione dei rifiuti” si protraeva per i successivi 15 anni, comportando la sospensione, per lunghi periodi di tempo, dei servizi di raccolta dei rifiuti a Caserta e San Nicola La Strada, con il loro conseguente accumularsi lungo le strade pubbliche e la correlata chiusura temporanea di asili, scuole, università e mercati locali.

Nel 2010, terminato lo stato di emergenza, venivano adottate ulteriori misure; nel dettaglio, si predisponeva un piano d’azione di emergenza per lo smaltimento delle c.d. “ecoballe”, che prevedeva, tra l’altro, il loro smistamento nella discarica di Lo Uttaro, vicino alle abitazioni dei ricorrenti – e ciò nonostante un rapporto ufficiale del 2001 affermasse che detta area fosse “assolutamente inadatta” per un nuovo impianto.

Ciò premesso, in relazione ai fatti sinteticamente esposti, i ricorrenti si dolevano della violazione del loro diritto alla vita (art. 2 CEDU), del loro diritto al rispetto della vita privata e del loro domicilio (art. 8 CEDU, profilo sostanziale e procedurale), del loro diritto a non essere discriminati (art. 14 CEDU), nonché – con riferimento alla possibilità di ottenere la restituzione delle tasse che avevano pagato per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani – la violazione del diritto all’equo processo (art. 6 par. 1 CEDU), del diritto ad un ricorso effettivo (art. 13 CEDU) ed infine del diritto al rispetto dei propri beni (art. 1 Protocollo 1 alla CEDU).

La Corte, nella pronuncia in commento, accoglieva il ricorso sotto il profilo della violazione sostanziale dell’art. 8 CEDU, dichiarandolo per il resto inammissibile (con riferimento alle doglianze sollevate relativamente agli artt. 6 par. 1 e 13 CEDU, nonché all’art. 1 Protocollo 1 alla CEDU e dell’art. 2 e 14 CEDU, per incompatibilità ratione materiae con la Convenzione e perché manifestamente infondate).

Infatti, sebbene non si potesse affermare, a causa della mancanza di prove mediche, che l’inquinamento derivante dalla crisi della gestione dei rifiuti avesse causato danni alla salute dei ricorrenti, era tuttavia possibile stabilire, tenendo conto dei rapporti ufficiali e dei documenti disponibili, che vivere in un’area caratterizzata dalla massiccia presenza di rifiuti, in violazione delle norme di igiene e sicurezza applicabili, aveva reso i ricorrenti più vulnerabili a diverse malattie. Inoltre, la Corte ribadiva che un rilevante inquinamento ambientale può senz’altro influire sul benessere degli individui in modo tale da pregiudicare la loro vita privata, senza per questo necessariamente mettere in pericolo la loro salute (cfr. López Ostra, § 51).

Nel caso di specie, i ricorrenti erano stati costretti a vivere per diversi mesi in un ambiente insalubre a causa dei rifiuti lasciati per strada e di quelli smaltiti in depositi temporanei e inadeguati.

In definitiva, la Corte accertava che, per il periodo emergenziale ricompreso tra l’11 febbraio 1994 e il 31 dicembre 2009, nonché in relazione all’inquinamento ambientale causato dalla discarica “Lo Uttaro”, le autorità erano venute meno al loro obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie a garantire l’effettiva tutela del diritto dei ricorrenti al rispetto del loro domicilio e della loro vita privata, violando, per tale via, l’art. 8 della Convenzione (negli stessi termini la Corte si era già pronunciata anche sul caso Cordella e altri, relativo all’inquinamento prodotto dall’ex stabilimento ILVA di Taranto, nonché sul caso Di Sarno e altri c. Italia, sempre relativo alla mala gestione dei rifiuti in Campania).