di Valentina De Giorgio 

Con sentenza del 14 settembre 2023, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 8 CEDU in relazione alla collocazione di un migrante minorenne all’interno di un centro di accoglienza per adulti, senza che nei suoi confronti venissero applicate le garanzie procedurali previste per i minori stranieri non accompagnati.

Nello specifico, il ricorrente Salimou Diakitè, di origini ivoriane, nel gennaio del 2017 arrivava in Italia via mare. Al tempo, il ricorrente aveva diciassette anni. La sua minore età veniva dichiarata alle autorità, presentando un certificato attestante la sua nascita nel dicembre del 1999. A seguito di una visita medica con radiografia, veniva stimato che l’età del ricorrente fosse superiore ai diciott’anni. Per tale ragione, il ricorrente veniva collocato presso il centro di accoglienza per adulti della Croce Rossa sito in Roma, via Ramazzini. A seguito di richiesta di ricollocamento formulata dal suo legale, il sig. Diakitè veniva trasferito presso un altro centro di accoglienza, questa volta per minori d’età. Dopo una serie di altri spostamenti – sempre in centri appositamente dedicati a minorenni – nel luglio del 2017 veniva nominato un tutore e veniva avviata la procedura di richiesta d’asilo, conclusasi con successo.

Nel valutare la questione, la Corte europea ha sottolineato che il ricorrente, minore straniero non accompagnato, avrebbe dovuto essere trasferito immediatamente presso un centro ad hoc, con conseguente applicazione delle garanzie procedurali previste per i migranti minorenni. Il fatto che il ricorrente sia stato collocato presso un centro di accoglienza per adulti sulla base di una radiografia, nonostante avesse presentato un certificato che ne dimostrava la minore età, secondo la Corte EDU vìola il principio della presunzione della minore età. Tale principio costituisce un elemento cardine della tutela del diritto al rispetto della vita privata di uno straniero non accompagnato che si dichiara minorenne.

La Corte, dunque, ha ritenuto che le autorità italiane non hanno agito in modo diligente, non rispettando l’obbligazione positiva di garantire la protezione del diritto del ricorrente al rispetto della propria vita privata. Per tali ragioni, la Corte ha riscontrato la violazione dell’art. 8 CEDU da parte dell’Italia, condannandola a risarcire il sig. Diakitè per i danni non patrimoniali.