di Valentina De Giorgio

Con sentenza del 31 agosto 2023 (caso M. A. c. Italia), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 CEDU derivante delle condizioni inadeguate del centro di accoglienza in cui veniva collocata una migrante di minore età.

La ricorrente, una giovane ragazza di origini ghaniane, nel 2017 veniva collocata all’interno del Centro di temporanea accoglienza per adulti “Osvaldo Cappelletti” a Como. Successivamente, presentava richiesta di asilo e svolgeva con un mediatore del Centro un colloquio personale, nell’ambito del quale la ricorrente trascriveva a mano le vicende da lei vissute. Indicava, inoltre, di aver subito violenze e abusi di natura sessuale sia in Ghana, suo paese d’origine, sia in Libia, dove era fuggita prima di raggiungere l’Italia via mare. Nell’attesa di conoscere l’esito della sua richiesta di asilo, la ricorrente chiedeva più volte di essere trasferita in un centro di accoglienza idoneo alle proprie esigenze. Il Centro di Como, infatti, è un centro temporaneo pensato per adulti, in cui i minori non accompagnati non trovano una tutela adeguata. La ricorrente, già fortemente traumatizzata dalle esperienze passate, aveva sviluppato depressione ed era a forte rischio di soffrire di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), situazioni per cui il Centro non provvedeva un sufficiente supporto psicologico. Nonostante le ripetute richieste di trasferimento, la ricorrente rimaneva nel Centro per quasi otto mesi.

Nel ricorso davanti alla Corte europea, la ricorrente lamentava la violazione dell’art. 3 CEDU a causa delle condizioni del Centro di Como, sottolineando che la carenza di privacy e di separazione con gli adulti non era appropriata per una situazione delicata quale quella di una minore non accompagnata che aveva subito violenze sessuali in passato.

La Corte europea accoglieva parte del ricorso. Nell’esporre il proprio ragionamento, la Corte evidenziava che la permanenza di quasi otto mesi nel Centro non aveva permesso alla ricorrente di ricevere l’assistenza di cui necessitava. Ciò, congiuntamente alla prolungata inerzia delle autorità nazionali in relazione alla sua situazione di minore particolarmente vulnerabile, ha comportato la lesione del diritto della ricorrente di non essere soggetta a trattamento inumano.

Per questi motivi, la Corte ha riscontrato la violazione dell’art. 3 CEDU, condannando l’Italia a risarcire i danni non pecuniari subiti dalla ricorrente e a versare le spese legali sostenute dalla stessa.